Premessa: a me è difficile credere che in queste notizie di Repubblica, Corriere, Il Fatto, non c'è proprio nulla di vero.
Forse ora si capisce meglio perché l'ondata per Giuliano.
Forse adesso si può ammettere che in tanti anche se non sapevano "avevano sentore" ed erano ormai diventati una moltitudine che gridava nel deserto: anche nel deserto complice dell'informazione che tanto oggi scrive e trasmette. Quelli che "avevano sentore" erano diventati tutti "estremisti dei centri sociali".
Forse adesso si capisce meglio perché in tanti a sinistra (e comunque secondo me a torto) si erano allontanati dal voto e hanno lasciato vincere due, tre, quattro volte "gli altri".
Forse adesso si capisce perché tanti iscritti e sostenitori del PD, per quanto ad ogni elezione di meno, sperando nel riacchiappare il potere in un modo o nell'altro, VOLEVANO non vedere nulla ed erano così chiusi e aggressivi verso qualsiasi critica da parte degli "altri" di centrosinistra.
Mi ricordo feroci dibattiti su Radiopopolare in cui ad ogni telefonata "di provenienza varia" ne seguiva una di un militante PD in cui si attaccavano rifondaroli, centrosociali, radicalchic e altre etichette da processo staliniano (che poi per fortuna erano processini della mutua) perché "facevano casino" e non permettevano al grande partito serio a vocazione maggioritaria di andare avanti per la giusta strada senza paletti tra le ruote.
Sul Corriere della Sera di oggi ecco un esempio di quelle argomentazioni di allora:
"Antonio Pizzinato, segretario Cgil negli Anni 80, è un altro «ragazzo di Sesto». La sue parole sono una cartolina dalla Stalingrado che fu. «Sono stato capogruppo del partito quando Penati era sindaco. Quel piano regolatore, quello delle aree Falck, io l'ho votato con convinzione». E le presunte mazzette milionarie? «A Sesto tutti conoscono tutti. E il tenore di vita di Penati in questi anni non è cambiato, glielo dico io». "
(vedi articolo completo)
Mi ricordo quando a poca distanza dalle ultime elezioni provinciali il presidente Penati revocò "per punizione" la delega ad un assessore colpevole di avere detto "qualcosa di sinistra". Altra manciata di voti persa per giocare al Veltroni locale a vocazione maggioritaria.
Vi ricordate la frase strappalacrime del film Love Story "amare significa non dover mai dire mi dispiace"? Ecco: in Italia è diventata "fare politica significa non dover mai chiedere scusa".
Ma oggi, a buoi scappati ma non per questo meno doverosamente, questa invece è una cosa che va fatta.
Qualcuno, anzi non pochi onesti a tutti i livelli,se ne è accorto, e forse non da oggi: ma non basta, non è mai bastato del resto, avere saputo ed essersi tenuti fuori.
Oggi è necessario DIRE che ci si è accorti, che si è SBAGLIATO a tollerare, che bisogna che OGNI partito e ogni schieramento di centrosinistra si RIGENERI completamente. Come idea e come pratica: del potere e della cultura.
Sul Corriere della sera di oggi leggo :
"Stefano Boeri, votatissimo capolista e ora assessore in Comune, posta su Facebook il suo pensiero. «C'è una cultura che ha zavorrato la politica milanese e compromesso con scelte immobiliari ingiustificate il territorio della nostra città».
L 'archistar su cui il Pd puntò tutto alle primarie reclama ora una palingenesi: «Chiedo una conferenza programmatica che metta al centro della discussione il rapporto tra politica, sviluppo del territorio e economia.
È necessaria una rigenerazione del gruppo dirigente e dei suoi indirizzi culturali e politici».(l'intervento completo sul sito di Boeri)
È l'altro protagonista delle primarie di novembre, l'ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida, a buttar lì la madre di tutte le domande:
«Nella storia locale dei Ds sembra ci fosse un intreccio tra scelte urbanistiche e affari. L'interrogativo è se il nuovo partito, il Pd, si sia liberato di queste prassi, di queste modalità di fare amministrazione».
(vedi articolo completo)
Forse non hanno torto.
A Milano come a Sesto, le scuse e i passi indietro ce li aspettiamo da tutti.
lunedì 29 agosto 2011
giovedì 18 agosto 2011
Verso il default
Verso il default, questione di tempo
— 17 agosto 2011
di GUIDO VIALE
Gli alti e bassi, ma sostanzialmente bassi, dei cosiddetti mercati, ci fanno capire che nei prossimi anni, e per molto tempo ancora, non ci sarà alcune «crescita»: né in Italia (dove la manovra ha messo una pietra tombale su qualsiasi velleità di rilancio economico), né in Europa, Germania compresa: che sconterà presto il disastro a cui sta condannando metà dei suoi partner commerciali. Meno che mai negli Stati Uniti; di conseguenza soffrirà anche l’economia cinese, dove sostituire la domanda estera con quella interna non è così facile. Nemmeno il Brasile se la passerà più molto bene, mentre l’economia giapponese è scomparsa dai radar.
In Italia, e in molti altri paesi senza «crescita», il pareggio di bilancio diventerà irraggiungibile: anche ridurre la spesa pubblica non basta per colmare i deficit. Così gli interessi si accumulano, anno dopo anno, e il debito cresce, facendo aumentare a sua volta i tassi, e con essi il deficit. Anche se prescritto dalla Costituzione (con una norma che seppellisce tutto il pensiero economico originale del Novecento) il pareggio di bilancio diventa una chimera.
Per anni i titoli di Stato avevano offerto ai cosiddetti risparmiatori – cittadini che avevano un avanzo di reddito a disposizione – una specie di cassaforte dove mettere al sicuro il loro denaro. Ma da tempo, e soprattutto con la liberalizzazione dei mercati finanziari, quei titoli, ormai nelle mani di grandi operatori internazionali (compresi quelli che oggi gestiscono i fondi dei risparmiatori), sono stati trasformati in assets su cui lucrare, giorno per giorno, in base a variazioni dei rendimenti che chi quei titoli li ha emessi non può più controllare. Non è vero, come ci raccontano, che la spesa pubblica supera le entrate fiscali: in Italia non lo fa da tempo. Sono gli interessi accumulati ad aver portato il bilancio fuori controllo: è il meccanismo tipico dell’usura (quello dei famigerati cravattari); a cui gli Stati di quasi tutto il mondo si sono sottomessi: non per salvare se stessi, ma le banche e i fondi che detengono i loro titoli.
Tuttavia la crisi finanziaria non è che un risvolto di un meccanismo economico, quello dello sviluppo – che è poi l’accumulazione del capitale – che si è inceppato; perché è anch’esso a sua volta un risvolto della crisi ambientale: il pianeta Terra non è più in grado di sostenere con le sue risorse gli attuali flussi della produzione; e meno che mai i flussi di scarti e residui – a partire dalle emissioni che alterano il clima – che accompagnano inevitabilmente uno sviluppo guidato dal profitto. «L’età della pietra – diceva lo sceicco Yamani, già ministro del petrolio dell’Arabia Saudita – non è terminata per mancanza di pietre. Nemmeno l’era del petrolio terminerà per l’esaurimento del petrolio». Non lo farà, anche se le riserve tradizionali di petrolio sono agli sgoccioli: finirà perché il petrolio, e gli altri idrocarburi, saranno sostituiti da fonti rinnovabili ed efficienza energetica; oppure perché le loro emissioni avranno provocato disastri tali da rendere il pianeta inagibile e ogni ulteriore estrazione di idrocarburi impossibile o superflua.
Con il procedere della crisi, l’esito ineluttabile di uno Stato preso nella spirale di un debito insanabile come quello italiano è ciò che tutti dicono di voler evitare, ma che nessuno vuole prepararsi ad affrontare: il fallimento (default). Il problema non è il se, ma è solo il quando; e chi sarà a subirlo e chi a imporlo; e in che modo gestirlo. Il dibattito politico, se ci fosse, dovrebbe vertere su questo. Invece tutti parlano di rilanciare una crescita che non tornerà più; o che, se anche tornasse, sarà talmente stentata da non poter interrompere quella spirale infernale. Mentre si parla di “crescita” (ma di che cosa? dei saldi contabili per fare fronte al debito) qualcuno, anzi molti, si affrettano ad arraffare tutto, prima che non ci sia più niente da prendere. Proprio come i deprecati protagonisti delle rivolte inglesi; che sono al tempo stesso il prodotto di quel saccheggio e della cultura che la civiltà dei consumi e la pubblicità promuovono ogni giorno. Ma là non si tratta di rubare uno smartphone o un paio di sniker, ma di privatizzazioni, di questi tempi vere e proprie svendite; e dopo le pessime prove – in termini di tariffe e di efficienza – di tutte le privatizzazioni realizzate negli ultimi anni. E dopo che l’Italia, ma anche Berlino, ma anche Parigi, ma anche Bolivia ed Equador, si sono pronunciati contro le privatizzazioni: non solo dell’acqua, ma di tutti i servizi pubblici e i beni comuni.
Ma la democrazia è da tempo incompatibile con le esigenze dei mercati. Oggi più che mai. Poi tocca alle pensioni (quelle dei poveri), ai salari, al welfare, alla sanità, alla scuola all’occupazione, al posto fisso, alle finanze dei Comuni: gli unici enti che sono, o potrebbero essere, vicini ai governati. Ovviamente è un saccheggio pericoloso: in Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Medio Oriente – per non parlare dell’Islanda: infatti nessuno ne parla perché la strada del default è stata imboccata per scelta; e senza grandi danni, se non per i banchieri finiti in galera – domani in Italia, lavoratori e cittadini sfruttati e taglieggiati potrebbero ribellarsi. E non è detto che lo facciano in forme gentili. Londra insegna.
Per fare fronte a questa eventualità – scrivono i corifei del saccheggio di Stato – ci vuole una vera leadership. Quella attuale non è all’altezza: tanto è vero che quella italiana – ma non solo quella – è stata commissariata. Ma anche quella europea, che ne ha assunto la tutela, lascia a desiderare. E nemmeno Obama naviga in buone acque. Mancano le idee e mancano gli uomini, scrive sul Corriere della Sera un alfiere del liberismo, Alberto Alesina, subito rincalzato dal suo gemello, Francesco Giavazzi, che solo tre giorni prima si era invece accontentato – su input del suo direttore – dell’«inventiva imprenditoriale» di Berlusconi. Ma di idee intanto non ne tirano fuori nemmeno una, se non la solita solfa: privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli alla politica e alla spesa pubblica (continuano a pensare che la “crescita” sia una molla che scatta da sé); e di come e dove farle nascere non parlano nemmeno (non sarà certo la riforma Gelmini a produrre nuove idee; nemmeno quei due, che pure la esaltano, osano sostenerlo). In queste condizioni la leadership tanto invocata ha sempre di più l’aspetto di un “Uomo della Provvidenza”. Una débacle più sonora del pensiero unico liberista, che ha dominato un trentennio di disastri, e che ancora pretende di interpretare i tempi senza riuscire a comprenderli, non potrebbe esserci. Ma in questo vuoto di conoscenze (ambientali e sociali) e di pensiero strategico i rischi autoritari si moltiplicano.
Davanti a noi c’è un’altra strada; perché sedi dove si producono idee le abbiamo, anche se ancora gracili: sono i mille comitati di lotta, i centri sociali, i circoli culturali, le associazioni civiche, alcune riviste, molti blog, le associazioni studentesche, le pratiche alternative dei GAS, dei DES, delle reti di insegnanti, molte imprese sociali, alcune rappresentanze sindacali. Anche alcune idee importanti e condivise, nuove rispetto ai termini di un dibattito politico ormai sclerotizzato, ci sono. Sono quella dei “beni comuni”: da difendere dall’accaparramento privato e dalla gestione burocratica e corrotta degli organismi statuali attraverso forme di trasparenza integrale, di controllo dal basso e di gestione partecipata; e da estendere a tutte le risorse naturali indivisibili, ai servizi pubblici, ai saperi. E poi l’idea della territorializzazione dei rapporti economici: mercati agricoli e alimentari a chilometri zero; rapporti diretti con i fornitori che garantiscono qualità dei prodotti, dei processi e delle condizioni di lavoro; coinvolgimento di tutti gli stakeholder (lavoratori, utenti, amministrazioni locali, associazioni, centri di ricerca, imprese fornitrici e utilizzatrici) nella riconversione di produzioni in crisi, obsolete o dannose (a partire dalle armi: meno spese, meno consumo di risorse, meno guerre); e impegno in tutte le attività di salvaguardia dei territori e della loro vivibilità.
Di qui la convinzione che la salvezza non verrà dalla “crescita”, che significa ogni giorno di più devastazione del pianeta, delle condizioni di vita e dei rapporti sociali; e che i vincoli imposti dai mercati – dalle parità di bilancio agli aumenti di fatturato, dal rendimento dei bot agli andamenti delle borse – non sono totem a cui ci si debba piegare. Lungo questi filoni di pensiero, e dentro queste pratiche e questi organismi, può prendere forma e formarsi una nuova classe dirigente: una cittadinanza attiva che si metta in grado di esautorare e sostituire gli uomini che oggi sono al potere, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, sia negli organismi statali e amministrativi, che nelle imprese: quelle che hanno sostenuto per anni Berlusconi e che oggi vogliono far pagare il costo dei loro disastri a chi non ne ha mai condiviso le responsabilità, né avrebbe potuto farlo.
Ma può un movimento dal basso, fatto di organismi dispersi e pratiche differenti, governare e dirigere un processo di transizione di questa portata? Che per di più sta andando e andrà incontro a resistenze pesanti e reazioni violente? Certamente no. Nessuno, credo, prospetta una cosa simile. Ma le forze, le idee e la determinazione per intraprendere un percorso del genere non possono nascere in nessuna altra sede e in nessun altro modo. D’altronde non si tratta di processi isolati: le donne e gli uomini alla ricerca di un mondo diverso, che lo ritengono possibile, sono milioni in ogni parte della Terra. E se il processo avrà un seguito, anche molti spezzoni delle attuali classi dirigenti potranno separarsi dalla matrice in cui sono cresciute e forgiate; ma è un processo che può svilupparsi intorno a idee e sedi che oggi occorre ancora diffondere e consolidare.
martedì 16 agosto 2011
Ma insomma la vogliamo finire?
Guardate qua:
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_agosto_11/moschee-scontro-giunta-pd-rozza-guida-islam-1901279808120.shtml
Ma perché la consigliera e capogruppo del PD non va a "chiedere nelle zone" anche se intitolare le vie a Bettino Craxi come risulta abbia detto di recente?
Ma perché alcuni esponenti del PD volevano che fosse approvato in fretta e furia il PGT versione Moratti, con migliaia di osservazioni dei cittadini bocciate e accorpate in blocco, senza "ascoltare e coinvolgere" davvero gli interessati, e ora dicono che per localizzare dei piccoli luoghi di culto in città bisogna consultare le zone, i cittadini, e magari anche gli oratori parrocchiali e l'associazione degli orologiai? Dico piccoli luoghi di culto, mica arene per concerti rock o circuiti di motocross nei parchi!! E meno male che l'assessore Boeri, dimostrandosi competente in cultura e in urbanistica ma soprattutto in normale convivenza civile, ha definito bene la questione richiamando l'epoca dei cristiani costretti nelle catacombe.
Sindaco e giunta hanno e avranno difficoltà grosse e piccole da affrontare, e senz'altro come ogni essere umano "sono in grado di sbagliare da soli"; ma vi sembra il caso di "creare tormentoni estivi" proprio quando resta in città chi ha meno soldi e meno possibilità di vacanze e come dibattito culturale si può permettere al massimo due discorsi da bar, e quindi nel vuoto di notizie estivo questo tormentone di mezz'agosto può facilmente farlo incarognire di più contro qualche altro cittadino con altri problemi?
Ma ci capite qualcosa di comunicazione pubblica o siete rimasti a Peppone e Don Camillo?
Ci arrivo perfino io, a capire che se non ci piace del tutto qualche decisione "centralista" (ma ancora di massima) basta dichiarare "che bella decisione, ora per le localizzazioni dei luoghi di culto bisogna avviare una valutazione e un confronto coinvolgendo le comunità religiose e il consiglio di zona competente così iniziamo a realizzare nei fatti il programma di rilancio dei CdZ". Così sembra che voi volete fare "di più e meglio" e non mettervi di traverso.
Quanto ai discorsetti tirchi e ringhiosi che questo tema suscita sempre sull'ovvio principio che "non devono essere pagati dai soldi dei cittadini", ma vi rendete conto di quanti soldi dei cittadini costano alla città l'ordine pubblico e la gestione rifiuti di una partita di pallone, di una festa degli alpini o di un grosso raduno religioso cattolico? Però quelli sono tanti e votano... Bene, allora è proprio ora di dare il voto amministrativo a tutti i residenti, così almeno siete contenti che "vi votano perché gli avete dato il permesso di pregare". Tanto, più di quello culturalmente e politicamente non arrivate a capire.
Gradisco smentita a tutte queste argomentazioni! Anzi sarei davvero felice di accorgermi che ho capito male. E per questo, invio per mail anche al gruppo consiliare del PD che SECONDO IL CORRIERE (ma alla stampa e ai media bisogna sempre pensarci...) APPARE DIVISO E ALL'ORIGINE DEL CONTRASTO.
E infine... io non sono religioso e ho sempre votato per la sinistra anche se in Italia i laici non li ha mai tutelati molto nessuno. Anzi, perché non "coinvolgiamo i cittadini" sull'utilità di pagare le ore di religione nelle scuole materne comunali a un po' di maestre disoccupate a cui la Curia trova lavoro (e punteggio per i concorsi) a spese di tutti?
http://milano.corriere.it/
Ma perché la consigliera e capogruppo del PD non va a "chiedere nelle zone" anche se intitolare le vie a Bettino Craxi come risulta abbia detto di recente?
Ma perché alcuni esponenti del PD volevano che fosse approvato in fretta e furia il PGT versione Moratti, con migliaia di osservazioni dei cittadini bocciate e accorpate in blocco, senza "ascoltare e coinvolgere" davvero gli interessati, e ora dicono che per localizzare dei piccoli luoghi di culto in città bisogna consultare le zone, i cittadini, e magari anche gli oratori parrocchiali e l'associazione degli orologiai? Dico piccoli luoghi di culto, mica arene per concerti rock o circuiti di motocross nei parchi!! E meno male che l'assessore Boeri, dimostrandosi competente in cultura e in urbanistica ma soprattutto in normale convivenza civile, ha definito bene la questione richiamando l'epoca dei cristiani costretti nelle catacombe.
Sindaco e giunta hanno e avranno difficoltà grosse e piccole da affrontare, e senz'altro come ogni essere umano "sono in grado di sbagliare da soli"; ma vi sembra il caso di "creare tormentoni estivi" proprio quando resta in città chi ha meno soldi e meno possibilità di vacanze e come dibattito culturale si può permettere al massimo due discorsi da bar, e quindi nel vuoto di notizie estivo questo tormentone di mezz'agosto può facilmente farlo incarognire di più contro qualche altro cittadino con altri problemi?
Ma ci capite qualcosa di comunicazione pubblica o siete rimasti a Peppone e Don Camillo?
Ci arrivo perfino io, a capire che se non ci piace del tutto qualche decisione "centralista" (ma ancora di massima) basta dichiarare "che bella decisione, ora per le localizzazioni dei luoghi di culto bisogna avviare una valutazione e un confronto coinvolgendo le comunità religiose e il consiglio di zona competente così iniziamo a realizzare nei fatti il programma di rilancio dei CdZ". Così sembra che voi volete fare "di più e meglio" e non mettervi di traverso.
Quanto ai discorsetti tirchi e ringhiosi che questo tema suscita sempre sull'ovvio principio che "non devono essere pagati dai soldi dei cittadini", ma vi rendete conto di quanti soldi dei cittadini costano alla città l'ordine pubblico e la gestione rifiuti di una partita di pallone, di una festa degli alpini o di un grosso raduno religioso cattolico? Però quelli sono tanti e votano... Bene, allora è proprio ora di dare il voto amministrativo a tutti i residenti, così almeno siete contenti che "vi votano perché gli avete dato il permesso di pregare". Tanto, più di quello culturalmente e politicamente non arrivate a capire.
Gradisco smentita a tutte queste argomentazioni! Anzi sarei davvero felice di accorgermi che ho capito male. E per questo, invio per mail anche al gruppo consiliare del PD che SECONDO IL CORRIERE (ma alla stampa e ai media bisogna sempre pensarci...) APPARE DIVISO E ALL'ORIGINE DEL CONTRASTO.
E infine... io non sono religioso e ho sempre votato per la sinistra anche se in Italia i laici non li ha mai tutelati molto nessuno. Anzi, perché non "coinvolgiamo i cittadini" sull'utilità di pagare le ore di religione nelle scuole materne comunali a un po' di maestre disoccupate a cui la Curia trova lavoro (e punteggio per i concorsi) a spese di tutti?
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domenica 14 agosto 2011
Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà
Scrive Mirko Mazzali
Il 15 insieme ai consiglieri Quartieri e Cappato e all'assessore De Cesaris ci rechiamo in visita a San Vittore. Non sara' una passerella, in carcere manca quasi tutto a partire dal sapone e carta igienica, nonostante lo sforzo della direttrice e di chi ci lavora. La promessa e' di non dimenticare cosa e' la detenzione.
Mazzali, finora vi siete occupati del debito e della politica finanziaria del Comune: bene. Quando discuterete del ripistino del garante dei diritti delle persone limitate bella libertà? Posi già tale domanda, senza ricevere risposta. Che lo stile di relazione, chiunque governi, sia il medesimo? Certo, come disse il marchese del Grillo, "io so' io e voi non siete un cazzo". Ma per ora la scommessa su di voi mostra appena una rima. Vediamo se riusciremo a corrispondere alla esigenza di interlocuzione
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